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March 22, 2016

Le Enfiteusi

L’origine storica dell’enfiteusi può essere rintracciata nel primo periodo della Repubblica romana, quando l’ager publicus, costituito perlopiù dalle terre sottratte alle popolazioni assoggettate dai romani, veniva lentamente occupato, con l’assenso della Repubblica, dai cittadini romani, i quali, oltre ad assumere l’obbligo di pagare un canone pari al decimo delle biade e al quinto degli altri frutti, erano tutelati per mezzo degli interdetti possessori.

In seguito, al fine di incentivare l’attività di miglioramento dei fondi, lo Stato, che poteva revocare la concessione in qualsiasi momento, decise di rinunciare a tale facoltà, e i terreni dati in concessione mutarono il proprio nome da ager publicus in ager vecticalis (dal vectical ovvero il canone), salvo poi trasformarsi lentamente nel tardo impero nell’ager emphyteuticarus.

Con la conquista dell’Italia da parte dei longobardi, i quali erano completamente estranei al concetto di enfiteusi, nacque invece l’istituto del libellus (dal libello ove l’accordo era scritto), ovvero un contratto riconducibile al modello dell’enfiteusi con cui venivano concesse prevalentemente ad ex schiavi delle terre dietro pagamento di un canone. Con l’avvento dei franchi, poi, l’enfiteusi venne lentamente ibridata con sistema feudale, e, oltre alle nozioni di dominio diritto e dominio utile (proprie della realtà feudale ed estranee alla tradizione romana), vennero introdotti il laudemio (pagamento da effettuare ad ogni cambio di enfiteuta) e il retratto (il diritto del concedente di riacquistare la piena proprietà pagando un prezzo ridotto), e modificata la funzione del canone, che da corrispettivo per il godimento del bene diventò una sorta di  pagamento effettuato in riconoscimento del dominio diretto.

Proprio in tale periodo sorsero inoltre le enfiteusi ecclesiastiche (anche note come appodiatizie), le quali traevano origine dal comportamento dei piccoli proprietari terrieri che, per ottenere la protezione della Chiesa, alienavano le terre di loro proprietà ai vescovadi, prendendole subito dopo a livello, dietro pagamento di un canone piuttosto basso che di fatto fungeva da corrispettivo per la protezione ottenuta.

Pur essendo un istituto molto diffuso, solo il codice italiano del 1865 codificò per la prima volta gli elementi essenziali del contratto di enfiteusi, i quali consistevano nel consenso, nell’obietto (inteso sia come fondi che come edifici), nel canone (tornato ad essere corrispettivo del godimento del bene) e nella forma prescritta dalla legge, con l’obbligo di miglioramento (essenziale nel diritto romano) che degradava a mero elemento connaturale.

Particolarmente utilizzate sul finire dell’800 anche dagli enti pubblici, nel successivo codice civile del 1942 le enfiteusi vennero infine classificate tra i diritti reali su cosa altrui, prevedendo l’attribuzione al titolare (enfiteuta) degli stessi diritti del proprietario (concedente) sui frutti, sul tesoro e sulle utilizzazioni del sottosuolo, prevedendo al contempo due obblighi: quello di versare un canone periodico (o in denaro o in natura) e quello di migliorare il fondo.

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